Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/92

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gioia e la certezza della pace improvvisa. Non mi riuscí. Mi chiesi invece se Dino lo mandavano a messa. Non ne avevamo mai parlato. Non ricordai cosa faceva la domenica mattina. Certo la vecchia andava a messa. Mi seccavo, e uscii fuori, respirando l’aria aperta.

Non parlai con nessuno di quell’attimo, di quello sgorgo di gioia. Tanto meno con Cate. Mi chiesi se quelli che andavano in chiesa, le mie donne, il parroco di Santa Margherita, provavano questo — se in prigione, o sotto le bombe, davanti ai fucili puntati, qualcuno godeva una simile pace. Forse la morte a questo patto era accettabile. Ma parlarne non era possibile. Sarebbe stato come rientrare in chiesa, assistere a un rito — un gesto inutile. La cosa piú bella del culto, degli altari, delle vuote navate, era il momento che si usciva a respirare sotto il cielo, e la portiera ricadeva, si era liberi, vivi. Soltanto di questo si poteva parlare.

Nel tepore della stanza da pranzo, sotto il cono di luce, mentre l’Elvira cuciva e la vecchia sonnecchiava, pensavo alle brine, ai cadaveri, alle fughe nei boschi. Entro due mesi al piú, sarebbe stata primavera, la collina si sarebbe vestita di verde, qualcosa di nuovo, di gracile, sarebbe nato sotto il cielo. La guerra si sarebbe decisa. Già si parlava di offensive e nuovi sbarchi. Sarebbe stato come uscire dal rifugio sotto gli ultimi colpi ai velivoli in fuga.

Non dissi a Cate del mio tentativo, ma volli sapere se lei credeva in queste cose. Fece una smorfia e mi rispose che ci aveva creduto. Si soffermò sul sentiero — era già scuro, rientravamo da Torino — disse che a volte le veniva di pregare, ma sapeva trattenersi. Chi non ha i nervi a posto, osservò, non serve a niente in ospedale. Ne succedono troppe.

— Ma è pregando che i nervi si calmano, — dissi. — Guarda i preti e le monache, sono tranquilli sempre.

— Non è il pregare, — disse Cate, — è il mestiere che fanno. Ne vedono di tutti i colori.

Pensai che tutti vivevamo come dentro un ospedale. Riprendemmo la strada. La pace, l’inutile pausa, mi parevano adesso cose assurde e scontate. Davvero, parlarne non si poteva.

— Non si può, — disse Cate, — pregare senza crederci. Non serve a niente.

Parlò seccamente, come rispondendo a un discorso.


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