Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/99

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sia toccata a me e non a Gallo, non a Tono, non a Cate, non so. Forse perché devo soffrire dell’altro? Perché sono il piú inutile e non merito nulla, nemmeno un castigo? Perch’ero entrato quella volta in chiesa? L’esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di piú. Rende sciocchi, e sono al punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfa e non mi basta. A volte, dopo avere ascoltato l’inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero scampato.

Quel mattino non stetti a pensare. Un sapore di morte mi riempiva la bocca. Saltai nel sentiero dietro i bossi; dissi all’Elvira sul cespuglio che desse i miei soldi e il libretto di banca al ragazzo, io correvo ad aspettarlo nella conca delle felci. Dissi a Dino di fare attenzione che non lo seguissero. Gli dissi di andare al cancello e guardare.

Ai tedeschi, raccomandai all’Elvira, bisognava rispondere che sovente passavo settimane a Torino e che lei non sapeva dove.

Dino gridò. Disse: — C’è un uomo.

Mi appiattii sulla ghiaia bagnata. Tornò l’Elvira e bisbigliò: — Non era niente. Un carretto che passa.

Allora dissi — Siamo intesi, — e mi salvai.

Arrivai tra le felci ch’ero tutto sudato. Non mi sedetti. Passeggiavo avanti e indietro per sfogarmi. Fra gli alberi spogli si apriva il grande cielo, leggero, mai visto cosí. Compresi cos’è il cielo per i carcerati. Quel sapore di sangue che m’empiva la bocca m’impediva di pensare. Guardai l’orologio. Mi pentii di aver promesso di aspettare. Quell’attesa era orribile. Tendevo l’orecchio se sentivo abbaiare dei cani, sapevo che i tedeschi usano i cani poliziotti. «Purché Belbo non venga a cercarmi, — dicevo, — sono capaci di seguirlo».

Poi cominciarono i sospetti e le questioni. Se i tedeschi arrestavano l’Elvira e la madre, la madre diceva certo ch’ero qui. Avrei voluto ritornare e supplicarle. Ripensai quanti torti avevo fatto all’Elvira. Mi chiesi se Dino le aveva già detto dei suoi arresti e dei fucili. Mi calmò un poco ricordarmi che fucili da me non ne avevano nemmeno cercati.

Cosí passavo quell’attesa, appoggiandomi ai tronchi, parlando tra me, passeggiando, seguendo la luce. Mi venne fame, guardai l’orologio, erano le undici e dieci. Aspettavo da solo mezz’ora. A


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