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fondo, quantunque sovente altere nel loro linguaggio, che i dottrinari dovettero la loro importanza e il loro nome»1.

Ma, checché ne dica il Guizot, checchè ne affermi lo Cherbuliez, che, con calore, imprende a difendere questa scuola2, la quale il Mazzini crede «battezzata dal popolo dottrinaria, per l’assenza di una vera dottrina»3, non è men vero che i seguaci di questa scuola, i Guizot, i Dupin, gli Odillon Barrot, i Barante, i Royer-Collard, il De Broglie, i Cousin, i Villemain, eclettici in filosofia, sistematici in storia, moderati in politica, alla conclusione, riuscirono a tutto un metodo di preconcette dottrine a cui si volevano, con espedienti conciliativi, e in filosofia, e in sociologia, e nella vita pubblica, piegati e adattati i governi e le nazioni, con frequente oblio dell’indole, del carattere, delle tradizioni, degli interessi stessi dei popoli, «quasi che potesse esistere moderazione nella scelta fra il bene e il male, il vero e l’errore, l’innoltrare e il retrocedere»4.

Cosi dunque quella scuola di uomini, i quali pretendevano di conoscere essi soli la scienza dei pubblici reggimenti e l’arte di governare i popoli, venne presto in uggia, in mezzo alFEuropa civile, e il malumore contro le dottrine si riverberò su coloro che le professavano.

Per tutte queste ragioni, adunque, Pellegrino Rossi cominciava, fino da allora, a trovarsi circondato di diffidenze e di sospetti5 che ne diminuivano il prestigio e la benevolenza in quella stessa Ginevra, che fu pure la città ove egli godesse di maggior favore e di maggior simpatia, proprio nel 1830, quando, per le giornate di luglio, era precipitato dal trono Carlo X di Borbone e vi saliva, sullo sgabello di una liberale costituzione, Luigi Filippo d’Orléans, il re cittadino.

Questa rivoluzione, che, agli occhi di tutti gli oppressi dal Trattato di Vienna del 1815 e da quello della Santa Alleanza, rimetteva la nazione francese alla testa del liberalismo europeo, suscitò in quegli oppressi la più profonda fiducia e le più esage-

  1. Guizot, Mémoires, etc., tomo I, pag. 156 e seg.
  2. A. E. Cherbuliez, art. cit. del 1849.
  3. G. Mazzini, Scritti, ecc., vol. III, pag. 14.
  4. Lo stesso, ivi.
  5. Cherbuliez, Reybaud, De Puynode e Curtois.