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Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/113

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la ginestra 101

X.


Il poeta mette gli uomini tra la tenebra, tò scótos, e la luce, tò phôs. Essi hanno preferito tò scótos.

“E gli uomini amarono meglio la tenebra che la luce„. Quale è la luce? la sinistra fiaccola che gira nel palazzo vuoto? il baglior della lava? Certo è la verità, e la verità discopre per il Leopardi, la rovina e la morte, la morte totale ed eterna; come quel bagliore,

Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge,

non rivela che macerie, nell’orrore della notte, e vacui teatri e templi deformi e rotte case, uno scheletro di città; rivela che tutto è in balia del caso, che non esiste legge di progresso, che aspra è la nostra sorte e depresso il loco, e tutto passa e tutto muore.

La vita umana è un deserto su cui domina la minaccia eterna dello sterminio. Questo è tò phôs. Ma l’uomo alla luce rivolge il tergo vigliaccamente; gli piace d’illudersi, sogna progresso, libertà, civiltà, grandezza, provvidenza, eternità. Superbe fole! che già cominciate a distruggere, tornano ora a rifiorire. L’uomo ha paura della morte e pargoleggiando si dà a credere di essere immortale. Questo dice l’ultima voce del poeta; e fin qui si può dire che si ripeta. Si può anzi domandargli: — E perchè invidiare la soave illusione a’ tuoi simili, o Tristano? Perchè chiamare, in certo modo, vigliacco il povero bambino che teme del buio? che utile c’è nel confermargli la sua paura? nello accrescergliela? Egli è adunque al