Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/136

Da Wikisource.
124 pensieri e discorsi

dell’uomo il suo mesto e totale assentimento. L’uomo non temè di contristare il suo simile, non temè di ucciderlo, non temè di uccidersi, perchè non sentì più l’irreparabile. Io so il Peisithanatos, qual è. Io so chi persuade a violare, in sè e in altrui, la vita. È chi, nel nostro animo, prima violò la morte.



X.


Ma questa è la luce? Oh! la morte, a fissarla, abbarbaglia. Meglio la penombra nella quale si stende il pianoro Elisio, più utile l’ombra nella quale stridono le Eumenidi. Sì? Ecco uno scellerato che non crede alla morte. Lo imagino oppresso da un suo delitto. Lo vedo anelante di terrore. A un tratto qualcuno sa introdurre nella sua coscienza l’assoluta convinzione che quelle vendicatrici sono fantasmi, e che esso non sarà punito. Lo scellerato respira; mette forse un urlo, non che un sospiro, di sollievo e di gioia. Il qualcuno si allontana. Colui è ora solo, e, poichè l’altro ha veramente mutata la sua coscienza, sente il nulla.

Se io sapessi descrivervi la sensazione del nulla, io sarei un poeta di quelli non ancor nati o non ancora parlanti. Non so, non so descriverla; perchè nè anche la mia coscienza (confesso) si è arresa alla scienza. Anche nel mio pensiero la morte è violata. Ma ricordo qualche oscuro e fuggevole momento, nelle tenebre della notte: il vertiginoso sprofondamento di un gorgo infinito, senza più peso, senza più alito, senza più essere... Oh! tutto tutto tutto, mi pare che dica lo scellerato, fuorchè l’annullamento!