Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/187

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una sagra 175

non conquista all’usanza d’un altro, non dirò popolo, ma impero, che ai popoli che, non dirò vince, ma soggioga e opprime e calpesta, confisca e la lingua e la religione e il nome. Giova sperarlo. Ma un fatto che sembra piccolo e che s’avvera vicino a noi e a spese nostre, limita la mia e la vostra speranza. Eccolo. Nell’isola di Malta tra quindici anni (e magari si promette di prorogare questa data) la lingua ufficiale sarà quella del popolo (ma è bell’ora di dire impero anche qui), quella dell’impero che occupa l’isola.

M’ingannerò; ma s’è aperta nel mondo una lotta, oltre le tante altre che già ci sono, una lotta presso cui le già antiche degli imperi orientali, e poi di Roma latina e poi di Roma, per così dire, germanica, sono un nulla. Si stanno edificando delle Ninivi e Babilonie e delle Cartagini e Rome, mostruose, enormi, infinite. Esse conquisteranno, assoggetteranno, cancelleranno, annulleranno, intorno a sè, tutto, e poi si getteranno le une contro le altre con la gravitazione di meteore fuorviate. Che sarà di noi? Perchè ciò a me sembra fatale e necessario; come, in un altro ordine di cose, altro fato e altra necessità mi apparisce. Questa. Le ricchezze gravitano a trovarsi insieme nel medesimo tesoro. Il campicello è assorbito dal campo, il campo dalla tenuta, la tenuta dal latifondo, e via via. Intere nazioni, sto per dire, sono espropriate della loro proprietà fondiaria. Ahimè chi possiede i campi della terra Saturnia madre di biade e madre d’eroi? Li possiede il credito ipotecario. E questo chi è? È generalmente anonimo, ed è un creditore collettivo. Ma poco a poco, questa collettività si riduce e semplifica; i più