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l’avvento 223

infante involto appena in cenci, deposto su peggio che una mangiatoia? non sai che quell’infante è destinato forse a non aver pietra su cui posare la testa, a non aver forse cibo nè per il suo corpo nè per la sua anima, esser forse col tempo incatenato e segregato, privato della sua libertà dagli uomini che gli negarono la sua educazione, spogliato del suo nome dalla società che gli negò il suo pane? Ciaramellaro, riponi la tua ciaramella.

Noi non ci crediamo più!



I.


Oh! credeteci! crediamoci! È l’avvento! Quel regno è cominciato. Era cominciato da prima, ma si è affermato da allora. Da quando? Da quando prima un piccol numero di reietti, poi molti, poi tutti, felici e infelici, civili e barbari (ma quale felicità era la loro, qual civiltà!), si fissarono su quel fatto incredibile dell’Uomo-Dio che nasce in una stalla, che vive non si vede di che, di pesci e di pani che sono troppo pochi alla fame di tutti, di spighe sgranate nei campi, di agnello avuto per carità; e muore su un patibolo, schiaffeggiato, bestemmiato, rinnegato, flagellato, coronato di spine e inchiodato a un legno. Che cosa sono le massime dei Vangeli, per quanto soavi o grandi, pur non sempre chiare, che cosa è la buona novella del Cristo, che cosa sono le predicazioni degli Apostoli e le epistole di Paolo, che cosa sono le dichiarazioni dei Padri e le argomentazioni dei Dottori, rispetto a quell’oggetto continuo di meditazione, che è tale semplice e orribile storia, d’un bambino