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274 pensieri e discorsi

là è re. Oh! se tutti si contentassero così, non sarebbe felice la società umana? Perchè non si ritorna ai bei tempi in cui privatus... census erat brevis, Commune magnum? Sì: la grandezza tenerla per il comune, per ciò che è di tutti, strade, curie, templi; e appagarsi del poco nella sua casetta?

E il figlio dell’agricoltore, che ha il nome da stelle, da quelle stelle che sono più osservate dai contadini, perchè comprendono tra il loro sorgere e il cadere, le messi e le vendemmie, Virgilio, prima di lui, in presenza delle ultime e più feroci guerre civili, faceva risonare la zampogna pastorale. Non scelse egli quell’umile genere alessandrino di poesia, per un fine meramente artistico: no: non avrebbe in esso accolti i gridi di dolore dei contadini spogliati. E poi, mostrò con l’opera che seguì, in cui il fine sociale è evidente, ch’egli non era anima oziosa da trastullarsi in disparte con la piva boschereccia, mentre intorno pioveva sangue. No: dal principio alla fine della sua vita, Virgilio non cantò che la pace. Egli volle apparire tra le armi come quell’ostentum, di cui parla Suetonio, che sedeva su un greppo del Rubicone, quando Cesare era per passare: arundine canens. Egli, che poi avrebbe, per bocca d’un vecchio morto nell’Elisio, gridato le grandi e postume parole a Cesare: Proice tela manu..., egli, sin dai suoi primi canti, diceva: Giù le armi! E, Giù le armi, ripete uscito dalle selve ma rimanendo ancora in campagna: nella campagna italica così bella qualche anno indietro, ora quasi desolata. Ed ecco l’Italia torna “la grande parente delle messi„, torna la terra saturnia dell’antica giustizia. Vediamola. O miracolo! In essa non sono schiavi. Tutti sono contadini sul suo,