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Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/345

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una festa italica 333

antipodi, e si fosse arrampicato per un monte così alto quanto era profondo l’abisso.



VI.



Al limite di quella selva selvaggia si era presentato all’uomo un altro che uomo era stato: un’ombra che veniva dall’oltremondo. Virgilio si mostrò a Dante. Un lungo silenzio lo aveva occupato. Continuarono bensì a vivere, propagandosi l’uno dall’altro, i lunghi pioppi cipressini della sua verde pianura. Un d’essi era stato piantato nel suo dì natale, e s’era slanciato su tutti gli altri: ma da gran tempo le incinte e le puerpere non facevano e scioglievano i voti all’albero di Virgilio1. Virgilio era letto e

  1. Nella Vita scritta da Donato si legge: “Un piantone di pioppo, secondo il costume del paese nelle nascite piantato subito sul luogo, si fece in poco tempo così grande, che agguagliò i pioppi piantati molto prima, e si chiamò l’albero di Virgilio e fu consacrato dalla somma devozione che ne avevano le donne gravide e sgravate, che ivi facevano e scioglievano loro voti„.

    Quanti alberi di Virgilio lungo il Mincio e il Po, e per tutta la campagna! E ognuno, quel giorno sereno di maggio, aveva il suo usignolo che cantava. Era giorno di festa: tutti gli usignoli cantavano. Cantavano più che altrove ad Andes. Ricordate, o buoni amici, Scalori, Urangia-Tazzoli, Cottafavi, Finzi, Zilocchi, Cisterni, Chiggiato, Massari, Gorini, Bertolini? Mio buon maestro e collega Bertolini, ti ricordi che te ne mostrai qualcuno, che gonfiava la mirabile gola canora, proprio sui pioppi? E noi con quel severo animoso Gorini, soggiungevamo i versi di Virgilio:

    Qualis populea maerens philomela sub umbra.