Pagina:Percoto - Sotto l'Austria nel Friuli, 1918.djvu/112

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ginocchio. Calàti nella pianura desolata, si posarono entrambi sulle ossa dei morti in faccia a Marco e gracidavano.

— O corvi, fratelli in Dio! — disse allora Marco. — Venite voi dal settentrione? venite dall’occidente? vedeste i nostri armati? vedeste i figli della nostra terra? sanno essi che il giorno è venuto? saranno essi qui in breve per la battaglia della libertà? —

E i due vecchi corvi rispondono:

— O Marco, figlio di Vucàssino e di santa Gevrosina, o Marco, gloria ed onore di Slavia, noi vorremmo darti buona novella, ma non possiamo darti se non quella che è. — E l’uno dei corvi gracchia, e l’altro dice:

— Vengo dall’Italia. Freme l’Italia e non vuol più servire a Cesare; Cesare manda a domarla i figli del tuo paese. Centomila varcano i monti, centomila traversano il mare. Lì fui, e vidi: saccheggiarono, distrussero, incendiarono. Hanno cavato gli occhi alle immagini dei santi, hanno insozzato gli altari, hanno insultato le donne, hanno ucciso i fanciulli, hanno bevuto del loro sangue. Lì fui e vidi quando si cozzarono le schiere: degli Italiani pochi sono rimasti; pochi anche dei tuoi e i più feriti; ma i tuoi hanno vinto. Hanno vinto, ma l’Italia non può rassegnarsi. —

Quando Marco sente ciò, grida con tutta la sua voce: — Ahi! mala novella è cotesta, o corvi! Non contro l’Italia dovevano essi pugnare! Che importa a noi dell’Italia? Forse che le sue catene compensano il nostro sangue? Ci giova l’aver lasciato in Italia le nostre ossa, or che è venuto il giorno della redenzione? Chi dunque combatterà ora per noi? —