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VI.

La Signorina.


In una stanza riccamente addobbata di un bel palazzo situato sul Traunik a Gorizia, tra i cuscini di una magnifica dormeuse giaceva languidamente cogli occhi semichiusi una persona di nostra conoscenza: la signorina Cati. Le doppie cortine di seta abbassate lasciavano penetrare appena tanta luce da far discernere gli oggetti. Era avvolta in una candida veste di mussolina e due grosse trecce di capelli neri le cadevano sul collo; le braccia abbandonate, le mani e la faccia erano tanto bianche, che se non fosse stato il lieve palpito del seno a palesarla viva, l’avresti presa per la bella donna descritta da messer Francesco nel Trionfo della Morte.

Accanto a lei, in piedi, una giovane fantesca agitava un piccolo ventaglio, ma con tanto riguardo, che non si udiva il minimo rumore; soltanto il tic-tac d’un orologio a pendolo, che in forma di tempietto con due colonne di alabastro, stava sopra un tavolino accostato alla parete, misurava lentamente il tempo. I mobili, le tappezzerie, i quadri, i candelabri, i mille ricchi oggetti che adornavano quella sala erano stati tutti fabbricati a Vienna. Il barone era così attaccato alla Capitale, che voleva venisse di là ogni cosa, perfino le persone di servizio; o facilmente uno se ne accorgeva guardando il busto esile, la forma delle spallo e la tinta biancastra della cameriera che assisteva la signorina. Uno solo di quegl’infiniti oggetti