Pagina:Perodi - I bambini delle diverse nazioni, Firenze, Bemporad, 1890.djvu/125

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il bambino. Senza lavarlo, trascurandolo e lasciandolo crescere nel sudiciume, il bambino resta vittima di quella malattia d’occhi, che si chiama oftalmia egiziana, e spesso perde la vista da un occhio e qualche volta resta cieco.

Finchè un bambino musulmano o turco non ha un anno non è lavato, perchè non deve toccar l’acqua se non quando ha raggiunta l’età per la quale sono prescritte ai fedeli di Maometto le abluzioni di rito.

— Com’è la culla del piccolo fellah, o coltivatore? —

Vi lambicchereste il cervello per lungo tempo, senza trovare una risposta, se io vi rivolgessi una domanda come quella, e anche girando in tutti gli angoli della povera capanna abitata dalla famiglia del bambino, non la trovereste, poichè d’estate gli serve di culla il fango che è fuori della capanna, e l’inverno quello che vi è internamente. La capanna stessa è pure di fango, e di fango è fatto il tetto, e si appoggia sopra rozze travi o sopra fasci di canne. Non ci sono in quelle case nè finestre, nè mobili, nè letti. Talvolta il bambino è rinvoltato nel sudicio burko (velo del viso) della madre, ed è buttato in un canto, ma più spesso non ha nulla che gli copra le piccole membra, nè che gli serva di letto.

La cucina consiste in una pietra al di fuori della capanna con una o due padelle per cuocervi il modesto cibo, che il fellah si porta alla bocca mediante il pollice e due altre dita della sinistra, intanto che si serve della destra come di piatto.

Il bambino egiziano menerebbe una misera vita, se non lo circondasse l’aria dolce del suo paese e non lo riscaldasse il potente sole d’Africa.

Le case dei fellahen ricchi si compongono di due o tre cortili con le stanze aperte sulla sommità o chiuse in parte da travi o canne. Uno di questi cortili è destinato al bestiame; il resto serve alla famiglia.