Pagina:Pertusati Teodoro Della scienza e di Cesare Beccaria 1870.djvu/17

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prire la verità, volgeasi troppo spesso contro gli innocenti. Inoltre, mentre era tanta immanità nelle leggi, mille vie erano aperte al più potente, al più astuto, al più fortunato per evitarne i rigori. La chiesa, il convento, il palazzo ospitavano e difendevano con ogni accanimento il ladro e l’assassino, mentre l’ottimo cittadino, che riposava fiducioso nella sua virtù e nella giustizia sociale, era dai più atroci spasimi costretto a dichiararsi reo.

Se tristi i metodi, onde si accertava il reato, non meno crudeli ed inique erano le pene. Squallidissime le prigioni in cui il reo era sostenuto dalla beneficenza privata, la quale non di rado facea difetto; quasi ad ogni colpa d’un uomo della plebe era inflitta la pena dell’infamia, e adoperato il marchio e la gogna, per cui si toglieva al pentito ogni speranza di riacquistarsi la stima dei concittadini: atrocissime le galere, frequentissime le condanne a morte. Ma non bastava il toglier di vita, gli ultimi istanti del misero si esacerbavano con inaudite crudeltà. Noi raccapricciamo in leggendo le condanne di un Ravaillae, di una Caterina Medici, di un Mora, di un Damiens, di cento e cento. La morte stessa non ponea fine al patire, si trasmetteva l’infamia a traverso le generazioni e con essa l’esilio e la miseria. Eppure quanto di frequente gli infelici posti a sì strazianti cruciati erano rei di colpe lievissime, quanti non erano puniti di delitti creati dalla goffa ignoranza o dai fatali pregiudizi de’ tempi! Contro tante e ai crudeli ingiurie agli umani diritti levò