Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/107

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trui? che il logorare miseramente la cortissima ora che ci è data ad operare il bene? e il tempo assegnato agli onesti godimenti o ai pensieri dell'eternità, che appena ne basta all'adempimento d’ogni nostro dovere, perchè volgerlo ad altro fine, che a quello a cui fu necessariamente destinato, acciocchè poi ne derivi morte sì a noi che ai prossimi? Il meditare in queste verità, m'impedì di ruinare in fondo all'abisso, o di rialzarmi tosto, ove vi fossi caduto. Però, adonta che vi ponessi ogni studio, non giunsi mai a tanto, da temperare il fuoco della mia collera.

A. — Nè a te nè ad altri temo che da questa cagione derivi suprema sciagura. Perciò, se non aggiungi alle promesse degli Stoici che si vantano di spiantare dalla radice ogni infermità dell'animo, mi basta che in tal proposito faccia uso del temperamento insegnato dai Peripatetici. Ma lasciando di tali cose, passiamo alle altre che per avere in sè maggior pericolo, richiedono che tu vi provveda più efficacemente.

P. — Dio buono! e che mai può esservi ancora di pericoloso?

A. — Forse che le fiamme della libidine non ti danno alcun travaglio?

P. — E sì ardentemente talora, che provi un vivissimo cruccio perchè non nacqui insensibile. Oh quanto torrei meglio d’essere

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