Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/114

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no per ignoti sentieri, dimmi di che allora m'intratterrai.

A. — Io non ho ancora posto il dito sulle tue più profonde ferite. E volli indugiarmi a bella posta, acciocchè meglio ti si scolpisca nella memoria quanto sarò per dirti. Allora vedrai se da questi carnali appetiti, di cui appena toccammo, ci verrà ampia materia al discorrere.

P. — Orsù, va innanzi ch’io ti seguo.

A — Se tu non t’ostini a startene sfacciatamente sul niego, io credo che sarà quindinnanzi finita ogni contesa.

P. — Oh come mi piacerebbe che togliesse dal mondo ogni sorgente di litigio! E non v'ebbe mai cosa, per quanto mi paresse chiarissima, di che io non mi conducessi a contendere se non a malincuore; perchè siffatte questioni, quand’anche insorgano tra benevoli, hanno un non so che d’ostile che troppo è avversa all'indole dell’amicizia. Ma dichiarami adesso quello a cui dicesti che io assentirò senza indugio.

A — L'animo tuo è dominato da una cotal peste cui i moderni dissero accidia, e gli antichi chiamarono tristezza.

P. — Al nome solo ne inorridisco.

A — Certo perchè ne fosti a lungo travagliato.

P. — M’è forza pur confessarlo; ma in codesta mia infermità non m’avvenne quello