Pagina:Petruccelli - I moribondi.djvu/133

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trattava l’Italia di assurda minchioneria. Il cannone di Magenta rimescolò il suo sangue, scosse le sue fibre. L’aria lombarda, quantunque ancora pregna di croato, vivificò la sua anima. Il conte di Cavour lo prese per la mano, come il Satana di Cristo, inalzandolo sur un pinacolo, gli fece vedere al di là dell’Adige Venezia, ed al di là dei monti Roma e Napoli. Menabrea divenne italiano e credette all’Italia — si dice almeno. Egli poteva però passare nell’esercito francese, ed ottò per l’Italiano — dopo la cessione di Savoja.

Menabrea aveva di già ammirevolmente arrestato la marcia degli Austriaci su Torino, con le sue fortificazioni improvvisate in due settimane sulla Dora Baltea. A Gaeta mise in opera quello stupendo sistema di attacco, il quale, secondato dalla rara energia del generale Cialdini, fe’ capitolare in 57 giorni una piazza che passava per la Sebastopoli dei Borboni. Intelligentissimo, solidamente istrutto, la parola facile ed elegante quando parlava francese, un po’ confusa, monotona e precipitata ora che favella in italiano, dotato di grande energia e di volontà di fare, conoscente tutte le tattiche del Parlamento e le specialità dell’amministrazione, Cavour lo aveva indovinato. Egli lo destinava già al portafogli della marina, che il barone Ricasoli gli confidò.

Il generale Menabrea ha l’aria scura, lo sguardo profondo, addolcito dalle lenti, la voce gutturale, il gesto raro, la postura elegante ed aristocratica, la testa alta finamente modellata, cui il sentimento cattolico impronta un po’ più che le abitudini mi-