Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/60

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la gioia, la determinazione, la sicurezza brillava in tutti i volti. Tutti avevano creduto che la Costituzione fosse stata subita dal re, e fecero a gara uomini e donne per festeggiarla! Il re, spaventato dal corruccio di tutta una città che si risveglia e si leva, si credette spacciato all’intutto. Accolse i suoi figli intorno a sè, chiamò la moglie, i fratelli, il servidorame più fido e si accinse a morire forse, ma in mezzo alla rovina di tutti. Il generale Statella ebbe ordine di far spazzare le strade dall’artiglieria, percorrerle al galoppo dalla cavalleria, e mietere alla cieca, e nessuno risparmiare. Ma quale non fu lo stupore e lo sbalordimento del generale, mettendo il piede sulla piazza della Reggia? Aveva creduto affrontare un numero più o meno grande, un partito; e si trovava di rincontro a tutto un popolo. Non vi era altro scampo che innalzare sulla torre del Palazzo lo stendardo rosso e segnalare ai castelli di bombardare la città. L’artiglieria schierata già accostava il fuoco alle micce, ma le schiere dei giovani che procedevano non si ritrassero di un pollice. Replicò l’intimazione, e coloro ripeterono il grido: viva la Costituzione, accennando la coccarda tricolore che portavano sul petto onde additare dove dovessero puntar le mitraglie. A quella vista Statella impallidì, e smettendo ogni fierezza, credette opportuno non obbedire al comando del re: colla sua sciabola scostò il braccio di un artigliere che stava per dar fuoco e comandò alla cavalleria di abbassare le armi. Poi con parole dolci, con propositi e modi soavi, prese a carezzare la folla, e magnificando la bontà del re, calmava l’irritazione, udiva i voleri, e seguìto da alquanti dei suoi lentamente penetrava nel centro della moltitudine. Ne andò così