Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/66

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nendo dalla reggia, aveva fatti correre rumori vaghi di cangiamento di ministero, di amnistia, e di costituzione, cui sembrava dar consistenza la novella oramai pubblica del bando del Delcarretto e di Cocle. Però non sapendosi nulla di positivo, eccetto il consiglio intimo in seduta permanente, non volendosi abbandonare a lusinghe tante volte deluse, i giovani stabilirono che il domani, 29 gennaio, avrebbero cominciata la rivoluzione davvero col tentare la fortuna delle armi. Quindi un’attività novella, un’ansia indicibile, una fiducia di esito che sebbene non divisa dall’inutile Comitato, non esaltava meno il coraggio di coloro i quali si votavano alla libertà della patria. Bisognava finirla con le inezie e col temporeggiare vituperevoli. La notte fu spesa dunque in preparamenti. Ma all’alba del domani, 29 gennaio, le cose avevano cangiato di aspetto. Su tutti i canti della città leggevasi un decreto che consentiva la Costituzione, cedendo ai voleri del popolo; un altro chiamava al potere il partito liberale e l’istesso Bozzelli. — Io non mi proverò a descrivere la gioia e le feste che successero: non saggerò neppure darne un’idea. Più che tripudio era delirio; più che feste erano saturnali. Quella plebe stessa che era sembrata sì indifferente e che si era temuta, quella plebe, quasi uscita da letargo alla parola di libertà e di fratellanza, si abbandonò a tale espansione di animo che commoveva. Essa subìva l’assalto di un’idea nuova: essa si trovava di un tratto trasportata in un aere, in cui non si sarebbe creduto che avesse potuto mai respirare. Il suo stesso carattere provava un cangiamento notevole. Un giorno prima sì burbera, sì rimessa e glaciale; un giorno dopo sì devota, sì devota