Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/118

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— Diavolo! leggere nell’anima di un gesuita del calibro del padre Piombini l’è famosa. Raccontami ciò.

— Sarà difficile. Come richiamarmi a memoria le gradazioni infinite di un linguaggio, le cui bianche trasparenze avevano dei baleni sì foschi.

— Di’ ad ogni modo, e lascia lì le antitesi.

— Infine, tu comprenderai forse meglio di me: io ho creduto intravvedere un mondo spaventevole.

— Insomma?

— Quando io giunsi, di già, a partir dai due abbaini graticolati, i penitenti si erano schierati intorno al confessionale in due emicicli. Io ho quasi chiuso le due branche e compiuto il mezzo cerchio, che guarniva di un doppio ordine di palafitte il casotto del confessore. Gli uni erano assisi, gli altri a ginocchio o piuttosto accoccolati. Tutti sbadigliavano più o meno, con decenza e contrizione. Vi erano parecchie femmine in toilette splendide, degli abiti neri tempestati di decorazioni, degli uniformi militari, i di cui portatori mi sembravano diabolicamente vogliosi di trovarsi altrove, giovani e vecchi, poche donne vecchie, ed io la più plebea. Gli era un salone di ministri nei giorni di ricevimento, stando a ciò che ricordo aver letto nei romanzi. Io occupava il centro di questa udienza e per conseguenza di prospetto alla porta del confessionale, in faccia al confessore. Ero quindi altresì l’ultima ad essere ricevuta, poichè il confessore alternava le sue udienze da destra a sinistra per ordine di posto.