Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/213

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Il capitano gli fece fare un mezzo giro e se lo menò d’incontro. Lo considerò un istante senza parlare, come se lo giudicasse mentalmente, poi piegò il ginocchio sinistro a terra, pose sull’altro ginocchio piegato ad angolo retto il braccio del giovanetto, l’innalzò, l’abbassò con forza sulla rotella. Il braccio del disgraziato era rotto in due come un ramo di legno morto! Il monello gittò un grido e cadde svenuto. Il militare si rialzò tranquillamente, scosse la polvere del suo calzone, guardò con aria soddisfatta le persone che gli avevan fatto capannello attorno, portò la mano allo shakò, salutò tutti e si allontanò in pace. Il popolo si disperse, il cuore stretto, e mutolo. Uno sbirro, che aveva tutto visto come gli altri spettatori, raccolse il fanciullo, lo trasportò alla prefettura di polizia, ove il commissario gli fece infliggere venticinque colpi di frusta, in seguito di che l’infermo fu mandato all’ospedale.

Gabriele, anch’egli, aveva tutto visto, anche i colpi di verga. Egli fece giuramento di non mai più rubare, di guisa che un frate mendicante lo corresse dal vizio della mendicità, un mercenario gli apprese il rispetto della proprietà: due violenze gli indicarono due doveri.

Gabriele aveva sedici anni.

Quando si è lazzarone, e non si ruba e non si mendica, non si ha altra risorsa che il lavoro. Ora, che può fare un lazzarone?

Si è scritto, e lo si ripete ogni dì, che tra il lazzarone ed il lavoro vi è incompatibilità e ripulsione naturale. Ciò non è esatto. Tra il lavoro