Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/257

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— L’è già bello e riflettuto, replicò Don Diego, alzandosi. Io non ho nulla ad offrirvi, e sono felice che voi non abbiate più nulla a prendermi. Mia sorella era la mia debolezza; strappandomela dai fianchi, mi hanno reso forte. Addio, signore. Quando avrò i miei sei mila ducati, avrò l’onore di venirvi a rivedere di nuovo.

— Voi non li avrete giammai. Al P. Piombini non resterà l’ultima parola in questo affare, potete contarci.

La sera, Don Domenico Taffa ebbe un abboccamento con monsignore Cocle.

Don Diego rientrò in casa assai inquieto. L’orizzonte di rosa che cominciava a contemplare, offuscavasi di un tratto. Gli spettri dell’avvenire ricominciavano la loro danza macabra. Pensò distrarsi nel lavoro, questa forza divina che tutto santifica. Prevenne il canonico Pappasugna del pericolo che lo minacciava, assicurandolo che la sua opera non sarebbe interrotta, per quanto ciò fosse possibile. Prese delle precauzioni: si mostrò poco; lasciò uscire Concettella il men che poteva. Avrebbe voluto nascondere la sua ansietà; ma Cancettella l’indovinò.

Ella entrava nella sfera d’attrazioni dell’ex-prete e si stabiliva tra loro quella specie di compenetrazione magnetica che precede l’amore. Don Diego la dominava già per quell’appropriamento vorace delle nature lungamente contenute e subitamente sbocciate. I sensi spezzano una volontà lungo tempo prima che l’anima sia tocca. Concettella sentiva dunque l’aria carica d’elettricità, ne