Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/292

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tanto era umano e discreto. Il marchese di Sora lo sapeva e contava su di ciò.

La segreta, ove avevano immerso Don Diego, era a cinque o sei metri al di sotto del livello del suolo, praticata in un gomito che faceva la cloaca collettrice di tutte le sentine dello stabilimento. L’aguzzino ed il prigioniero discendevano, mediante una scala mobile, in un corridoio stretto, che corre lungo le segrete scavate nel muro delle fondamenta ove sono le porte. Un piccolo abbaino a cancello di ferro tagliato sulla porta dava aria alla muda. Di luce, non era proposito: le tenebre eterne vi regnavano come sulla pelle del negro. Il prigioniero non vi poteva restare nè in piedi nè coricato: in piedi, egli avrebbe potuto considerarsi ancora come un uomo: coricato, egli vi avrebbe forse trovato la ridente illusione del sepolcro. Un’infiltrazione perpetua di un liquido nero, glutinoso, che avrebbe asfissiato il faro del Molo, sgocciolava lentamente, colla regolarità di una clepsidra, e cangiava il suolo in un fondo di pozzo melmoso ove brulicavano degl’insetti cui l’entomologia non ha ancora classificati. Nelle condizioni psicologiche della vita ordinaria e normale, non vi si sarebbe potuto vivere ventiquattro ore. Ma nell’eretismo dell’anima, — in cui debbe trovarsi naturalmente un uomo seppellito in quell’inferno, — la vita acquista un’intensità sovrumana.

Don Diego vi restò quaranta giorni.

Gli si portava una libbra di pane al giorno ed una brocca d’acqua. Egli viveva, agginocchiato, la bocca costantemente applicata allo abbaino sulla