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le ragioni; ella si era rivolti tutti i rimproveri: ella aveva sentito tutte le torture del dubbio e dell’esitazione, del terrore e del trionfo. Questa lotta tra la coscienza ed il dovere, tra le esigenze della fraternità e l’obbrobrio sociale, l’avevano spossata. Si sentiva affranta, impotente a riflettere ulteriormente, a reagire, a resistere: le rapide correnti del destino la trascinavano. Non pensava più. Si risovveniva degl’impegni presi e li compieva meccanicamente. Ella aveva impallidito e dimagrato.
Alle dieci, Bambina aprì la persiana, posò la lampada sul davanzale, si mise a cucire non so che, ed attese. Passò un’ora. Sperò. Essi avevano forse rinunziato al convegno o lo avevano obbliato.
Ahimè! povera fanciulla, no: eccoli che giungono.
Sulla strada, di rimpetto alla finestra, vicino al muro che cinge la villa, nella penombra che produce il lampione a grande distanza, innanzi l’edicola di una madonna di villaggio poveramente rischiarata da una tisica lucerna, due persone si fermano corto e sbirciano intorno. E’ sono venuti a piedi han lasciato la carrozza ben lontano, perchè Bambina non ne ha udito lo strepito. Un momento scorre, poi uno dei due uomini cava un zolfanello chimico in cera, l’accende e l’avvicina al suo viso per allumare il sigaro. L’altro cava di tasca una pezzuola bianca e la porta alla sua bocca.
Eran essi: re Ferdinando e l’ambasciatore d’Austria.