Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/276

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pel notaro, era un amico. Osservai, dal secondo giorno, delle cose che mi parvero equivoche. Volli andare al fondo. La curiosità mi ritenne in quello studio. L’abitudine mi fece prender radice nella cosa.

— Ci direte ora, signor conte, interruppe il carceriere maggiore, quale era codesta cosa?

— Un po’ di pazienza. Una sera, a mezzanotte, avvenne una strana circostanza. Non so precisamente come ciò ebbe luogo, nè quale fu la causa di questo avvenimento. Vi ho già detto che don Crescenzio amava il sesso forte: vi era dunque una donna sotto cappa. Il fatto sta che don Crescenzio ci capitò in uno stato disperato. E’ portava degli stivali ad imbuto, alla moda del tempo del Direttorio, larghissimi all’imboccatura. Codesti stivali, non so dove nè come, erano stati riempiti di bracie ardenti. Don Crescenzio era stato, in seguito, gettato alla strada, correndo, gridando, gemendo come un’anima del purgatorio.

“Allo strepito, una pattuglia notturna era accorsa.

“Chi va là?

“ — Il fuoco! il fuoco! gridava don Crescenzio.

“La guardia si avvicinò. Il notaro gridava sempre, saltabeccando: al fuoco! al fuoco! Una spiegazione ha luogo alla fine. Si decide di cavargli quei disgraziati stivali. Era troppo tardi. Le gambe erano arrostite. Il chirurgo chiamato, temendo la cancrena, si apparecchiava a tagliargliele senza più. Il notaro s’oppose a questo accorciamento di mezza la sua persona, dando