Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/52

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tremavano come se avessero la febbre, sicchè la serva, vedendoli sul punto di crepare, prese la risoluzione di torcer loro il collo.

La gabbia dei canarini e dei merli era vuota; la gazza, la cornacchia e la civetta, prese da vertigini, si erano precipitate in istrada ad ora indebita, e Dio sa dove erano andate a far gazzarra; il pappagallo querulo, ostinato, petulante, bestemmiatore, che rispondeva amen alle preghiere di don Noè, ed ora pro nobis alle litanie di Tartaruga, quel pappagallo testereccio, per un miracolo inesplicabile, s’era arrampicato sulla punta della croce della chiesa, come una banderuola, e a don Noè, che lo chiamava Titi per farlo rientrare nel suo domicilio, rispondeva col famoso giuramento di Benedetto XVI; poi alla sua volta Titi disparve e non se n’ebbe mai più notizia — malgrado l’onesta ricompensa offerta da don Noè.

Infine le tortorelle caddero sopra le ginocchia della bella cucitrice che stava là di faccia, ad uno stender di braccio. E, miracolo ancora più grande, in mezzo a questo cataclisma, a questo sbaraglio nel domicilio del sagrestano, vedesi Tartaruga che, un bel mattino, colla granata alla mano, ripulisce, raschia, spazza e arriva fino a lavare i mattoni del pavimento; la finestra è aperta a due battenti; il sole, un bel sole dorato del mese d’agosto, inonda in pien meriggio le due stanzette.

Due giorni erano bastati a questa metamorfosi, preceduta da un Waterloo. Chi l’aveva operata? Bruto — quel Bruto, che si era rivelato sotto la parola del burattinaio, che gli aveva