Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/59

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il giovanotto. Quando costei s’avanzò verso la figlia, i suoi sguardi e quelli di Bruto s’incontrarono, parvero le due scintille che compongono la folgore.

Bruto, che l’aveva non pertanto veduta spesso, non la riconosceva quasi più in quel momento. Quella megera, grande, gialla, gli occhi iniettati di sangue e di bile, le labbra grigie, con qualche ciocca di sucidi capelli in disordine, si avanzò, o piuttosto balzò, verso sua figlia, ghignando colle unghie protese in avanti, coi lineamenti sconvolti. Faceva orrore. Alla vista di Bruto indietreggiò, poi, di uno slancio, si abbattè sulla finestra e la chiuse.

Bruto rimase atterrito. Il sangue gli affluiva al cuore. Non respirava più.

Seguì un istante di silenzio. Poi egli udì un grido acuto. Nel punto stesso, la porta della sua stanza s’aprì e una voce insinuante domandò:

— Zia, avreste per caso una bragia per accender la pipa?

Bruto si voltò e vide don Gabriele che gli faceva dei segni.

Tartaruga gli diede la bragia e don Gabriele aggiunse:

— Grazie, la vecchia, e se ne andò.

Bruto restò un momento ancora ad ascoltare, poi lo seguì sul pianerottolo. Don Gabriele gli disse a bassa voce:

— I cani hanno trovato le traccie.

— Di chi?

— Zitto!