Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/102

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Tuttavolta, per un istante, la mischia si calmò. Egli la vide, e la vidi io pure, quasi nuda ormai sotto quelle mani immonde. Il principe non ebbe che un secondo di quella vista orrenda, che a me parve un’eternità. Ciò bastò. Armò, puntò la sua pistola, mirò, tirò un colpo, e sua figlia cadde all’indietro colla testa franta da una palla. I Cosacchi, non sapendo d’onde venisse quel colpo, si rialzarono. Il principe Nyraczi sembrava un gigante ritto sulle staffe, la mano ancora tesa, lo sguardo profondo, fisso, perduto, spaventevole. Egli faceva paura.

— Sono con voi, sono con voi, gli gridai da lontano. Tenete fermo ancora un minuto.

La mia voce lo fece trasalire. Levò lo sguardo dal cadavere e mi scôrse. Mi riconobbe.

— No! urlò egli; non voglio l’aiuto d’un servo che ho fatto frustare come un ladro.

E, dicendo queste insensate parole, continuava il molinello colla sua sciabola, e mieteva i Cosacchi. Mi fermai. Ebbi torto. Avrei potuto forse salvarlo suo malgrado. Lo vidi cadere un istante dopo sotto i kandjari dei Russi, e coprire col suo corpo il cadavere di sua figlia. Non distinsi più nulla. Non so come e da chi fui trasportato a Lugos. Credo di essere svenuto.


X.


Il resto non m’importava più. L’Ungheria aveva soccombuto. Io voleva morire. Ma avrei voluto vedere, prima, la punizione di Görgey.