Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/129

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varono quindi nelle vie, animati dall’istessa idea, fiancheggiandosi e seguendosi. Una processione si formò naturalmente. Si comperarono dei ceri per via. Una bandiera coll’aquila bianca, sboccando non si sa donde, si pose alla testa del corteggio. Tutto un popolo con una sola voce, nell’istesso momento, intuonò l’inno Swiety Boze:

«Dio santo, Dio possente, abbiate pietà di noi, degnatevi di renderci la nostra patria; Santa Vergine Maria, regina di Polonia, pregate per noi!»

Nessun disordine. Nessun grido sedizioso. Nessuna disposizione ostile. Neppur l’ombra di un’arma. Non un viso aggressivo. Tutto ad un tratto, il colonnello Trepow, capo della polizia, si mostra seguito da due squadroni di gendarmi. La folla cade in ginocchio, e continua a cantare. I soldati si precipitano su quella massa compatta, e sciabolano alla cieca.

Un centinajo di persone caddero morte o ferite.

Io era là. Mia madre toccò una ferita al braccio. Io aveva un revolver in tasca, e restai calmo.

All’indomani, la città intera vestì a corruccio.

Il governatore, principe Gortschakoff, sembrò atterrito. Il generale Liprandi ne fu costernato.

Due giorni dopo, il 27, correva l’anniversario della morte del conte Zawisza ed altri patriotti, impiccati dai Russi come mio padre. Trentamila persone si trovarono riunite nella chiesa del Carmine e nei dintorni. Il massacro dell’antivigilia non aveva impaurito alcuno, nè le donne, nè i fanciulli. Si assistè alla messa, poi, uscendo, ci disponemmo a processione. Io dava il braccio a mia madre, la quale, quantunque ferita, non volle mancare.

Il generale Zabolotzkoy accorre coi suoi Cosacchi.