Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/214

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La quarta notte profittammo del ricovero di una yurta di cacciatore. Nevicava così forte, così fitto, che non vedevamo dalla predella la prima renna del nostro tiro. La yurta era orribilmente sudicia e miserabile. I cinque individui, che l’abitavano, portavano il vestito di pelle di montone assai frusto. Un buon fuoco però scintillava nel mezzo della yurta ripiena di fumo. In un vaso bollivano dei pezzi di argali e qualche kavaky. Si mescolò al brodo un po’ di scorza di larice grattato. Metek scelse nel mucchio della cacciagione cruda del nostro ospite una cicogna bianca magrissima, la spiumò, e la mise allo spiedo, che cavò dalla nostra slitta. Cenammo. Cesara preferì coricarsi nella slitta: l’aria del tugurio le parve insopportabile. Metek sorvegliò le renne. Il cacciatore ci disse che vi erano molti lupi e qualche orso nelle vicinanze.

All’indomani, comprai il resto della cacciagione del mio ospite, e partimmo. Metek aveva dormito tre ore. Le renne si erano riposate una notte intera. Cesara aveva avuto freddo. Risalimmo il corso dell’Aldane.

Le sponde di questo fiume, alte ed incassate, ci mettevano al coverto dal vento violento, che soffiava da due giorni. Quando le renne sembravano stanche della spessa neve gelata sulla quale scorrevamo, noi profittavamo di un ribasso degli argini per uscire nel piano. Le renne pascevano; noi addossavamo il pologue a tre pertiche legate alla cima, facevamo un buon fuoco e la cucina. I boschetti di larice, di salice, d’alberella, che corrono lungo le sponde dell’Aldane, si urtavano sotto i buffi dell’uragano. Metek cacciava o fumava il suo ganzi, una specie di pipa cortissima.