Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/220

Da Wikisource.

— Qualche belva le divora, gridò Metek: andiamo in loro aiuto.

Penetrammo nel boschereccio a gran pena. La neve, meno esposta sotto i rami degli alberi, perciò più cedevole, ci affaticava. Le branche dei salici ci opponevano una siepe fitta, come il traliccio di un paniere. Rompendo questi ostacoli, strisciando a carponi, saltando, brancolando, facemmo qualche versta dalla parte ove il grido delle nostre povere compagne aveva risuonato; ma non potemmo trovar nulla.

— Ritorniamo, dissi io, le renne sono state sbranate, e noi non arriveremmo neppure a tempo per istrappare ai lupi od agli orsi la nostra parte delle vittime.

Continuammo la nostra strada. Il paesaggio non cangiava. Noi guizzavamo come ombre in mezzo a questo aere perso, carico di brina, pesante, cieco, su questo suolo, di cui la stanchevole bianchezza aumentava la tristezza. Di vita, punto. Senza la demenza degli elementi ed il guaito delle foreste, un silenzio assoluto ci avrebbe circondati. Le belve stesse tacevansi, di disperazione forse, forse per non dare l’allarme alle prede, che esse cacciavano con rabbia e non trovavano. L’orso e l’aquila, assiderati, restavano in uno stato letargico. Il volo dei rari uccelli era corto, trascinantesi, timido. Il corvo solo ci seguiva pesantemente, lentamente, lasciando dietro a sè un trascico di vapore, che si allungava come un filo. Infine, dopo parecchi giorni di viaggio, sboccammo nella YadighirkaFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376, al punto ove la si confonde con la Moma.

L’immersione, o piuttosto la discesa da una corrente d’acqua in un’altra, fu penosa. All’imboccatura