Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/237

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so, che divorava due o tre chilogrammi di carne per pasto e brontolava, non trovando la sua parte sufficiente. Bisognava vederlo, assiso alla porta della nostra tenda, allungare la sua terribile zampa al fuoco e dimandare che vi mettessimo qualche cosa. Egli mangiava ora di tutto, beveva persino il thè e l’acquavite. Era ghiottissimo soprattutto del brodo del pemmican.... Metek si arrischiò ad uscire, conducendo seco l’orso, che lo seguì con molta mala grazia. Lo Czar non perdeva mai Cesara di vista. Metek si rassegnò ad uccidere due corvi, non trovando altra preda. Ciò bastava presso a poco per lo Czar: era l’essenziale. Infine, la bufera si calmò. Il cielo si rischiarò: la luce apparve. Che spettacolo!

Le roccie avevan forme fantastiche; gli alberi projettavano le loro ombre sul tappeto di neve, e vi disegnavano arabeschi bizzarri. Il vapore prendeva aspetti magici, trasformandosi in polvere di ghiaccio. Si sarebbe detto che nevicassero diamanti. Il freddo, slogando i rami degli alberi e screpolando i macigni, dava una voce sinistra alla solitudine, ed interrompeva con questo rumore metallico il silenzio infinito che ci circondava. Tutto prendeva una fisionomia insolita e sorprendente: le proporzioni degli oggetti sembravano gigantesche. Questo paesaggio selvaggio e grandioso ci riconduceva, per un contrasto doloroso, alla memoria della patria, del focolare paterno, della società, dell’agiatezza, dei volti amati, e ci stringeva il cuore. La vallata della Kolima si apriva alla nostra sinistra, e di fronte a noi rizzavasi una catena di monti dalle cime raggianti, dalle sovrapposizioni stravaganti.

All’indomani raggiungemmo il letto della Stolbo-