Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/262

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superficie fortemente aggrinzata, quasi scompigliata. Verso sera, il vento si levò, e soffiò sì forte, che ci riescì impossibile dirizzare la tenda ed accendere il fuoco. I nostri denti battevano un galoppo formidabile. I cani sbranavano i resti della renna. Noi mordemmo un po’ di pemmican. Un po’ più giù, innanzi a noi, si apriva un gorgo, ove l’Anadyr si precipitava. La notte del 19 febbraio 1866 fu una delle più terribili del nostro viaggio, quantunque avessimo scavato un tunnel nella neve, ove, avvolti nelle nostre pellicce, ci eravamo cacciati.

Sollecitavamo l’arrivo dell’alba per metterci alla ricerca del casolare indicato.

Il tempo si ammansò. Si levarono anzi i venti tiepidi, e la temperatura si riscaldò. Un barlume di sole freddo colpito d’itterizia si avventurò all’orizzonte.

Prima di partire però cercammo di un sito coperto, ove addossare la tenda a qualche pilastro di ghiaccio — non vi erano più alberi — , ed accendemmo un magnifico fuoco, che ci permise di avere un buon brodo, ove immergemmo qualche rimasuglio di biscotto. Cesara si accocolò presso il fuoco. Le spine stesse cominciavano adesso a divenire più rare.

Uscimmo dunque a caccia. Due ore dopo, la yurta dei Tsciuktscias si offrì ai nostri sguardi. Corremmo. Era vuota! Ma le ceneri del focolaio vi erano calde ancora: il che significava che l’abitante era assente, o aveva cangiato di posto il mattino. Il nostro dubbio non si prolungò di molto. Poco dopo, due donne, cariche di bruscoli di rododendro, arrivavano al casolare. Elleno si mostrarono alquanto spaventate della nostra presenza: Metek le rassicurò. L’uomo loro cacciava, e non arriverebbe che a sera. Vicino alla yurta