Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/267

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bordo di una baleniera e di toccare così un porto dell’Arcipelago del re Giorgio, dell’Arcipelago del principe di Galles, nel nuovo Norfolk, nella nuova Cornovaglia, nel nuovo Hanovre, in qualche porto del mare di Hudson, all’isola Vancouver, o infine in un porto del territorio di Washington.

Le tribù del golfo di Anadyr non sono cattive, ma sospettose, ladre ed interessate. Io voleva avere con questi indigeni il meno di attinenza possibile. Quindi mi stabilii nell’interno delle terre, non lontano dal fiume, per aspettare il mese di giugno e l’arrivo delle baleniere. Se questa buona fortuna mi falliva, io avrei preso allora una risoluzione definitiva. Infrattanto, mandai Metek alla costa, nella baia di Onemene, per pigliar lingua, ed io mi diedi a cacciare ed a pescare.

Per pescare, forai il ghiaccio del fiume e vi cacciai dentro la rezzuola. Le renne se la cavarono da sole, come potevano, poveramente, leccando il muschio o scavando il lichene, quest’ultimo dei vegetali che copre l’ultima delle terre, come dice Linneo. Ma diveniva quasi impossibile nudrire i cani. Non potevo, pertanto, lasciarli morire di fame. Il più prezioso e il più raro oggetto del nostro mantenimento però era il legno. L’ho detto: non incontravamo più selve; bisognava andare alla ricerca dei tronchi trasportati dai flutti, che arrivano persino dalle coste di America.

Metek ritornò dopo sei giorni di assenza, seguito da un Kamakay, il capo di una tribù di Tsciuktscias, della baia di Notchene, e da due altri indigeni, in due slitte. Mi portarono in regalo una foca. Metek li aveva completamente rassicurati sulle mie intenzioni pacifiche, confermate, del resto, dalla mia posizione.