Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/274

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essere»! ecco il motto ordinario che riassume tutta la scienza, tutta la fede del Siberiano. Metek erasi spigliato e dirozzato. Accoppiando quindi alla sua forza ed alla sua costituzione di bronzo di Yakuto, l’agilità, la volontà, l’energia, l’ingegnosità europea, ei faceva miracoli.

Il mare è tutto per lo Tsciuktscias: prato, campo, foresta, fiume; egli vi pesca di che riscaldarsi, mangiare, vestirsi. Noi guardavamo, al contrario, la terra, per quanto lugubre la potesse essere, e le strappavamo di che vivere. La caccia dell’argali, della renna, dell’orso, ci arrise. Le androsacee, le genziane, le sassifrage, le achillee millefolium, spuntavano di già. Di già si intravedeva il grazioso cornillet dai fiori rossi, delicatamente adagiato sur un cuscino di muschio verde. La neve sembrava venata di sangue, colorata qua e là dalla tinta di ruggine dei licheni, o in rosso, in verde, in giallo, da una flora di cryptogami rudimentari. Rompendo la corazza ghiacciata del fiume, la pesca ci provvedeva largamente. Metek scoprì che la radice del boursault rampante era un eccellente condimento alla carne; che si poteva ottenere un thè non troppo cattivo, da un certo muschio del granito verde e da una specie di felce aromatica dal gusto gradevolissimo; ed un giorno egli arrivò in aria trionfale con un cavolo marino — crambe maritima — che ci dette un stchi, o zuppa saporitissima. Prevedendo l’ignoto, noi cumulavamo le provvigioni. Ma la fusione dei ghiacci cominciò per bene.

Avevamo fatte parecchie corse verso il mare, un poco per sorvegliare le numerose trappole agli isatis, ai lupi, alle volpi, che Metek, alla moda degl’in-