Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/33

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come un boa, e la beve, per rigettarla ben tosto nei fiotti irrequieti del mar Nero. Più lungi, molto rari, alcuni bianchi villaggi dai dorati campanili bizantini, che si prenderebbero per greggie in riposo, chiazzavano il suolo giallastro; e di tanto in tanto, un campo di tabacco dalle larghe foglie, delle canne acquatiche, dei girasoli dal cuore nericcio, dei boschetti a foglie verdi pallide, tremolanti sotto il venticello appena svegliato della sera. Poi, qua e là, delle specie di grue dall’aria sinistra, che si rizzavano come neri patiboli, e servono ad attignere l’acqua dal fondo dei pozzi ai margini invisibili.... Poi ancora dei gruppi di ragazze colle braccia ed i piedi nudi, dalla pelle bruna, colle gonne rialzate, le treccie ondeggianti, belle e tranquille, che salutavano con un sorriso, di cui il viaggiatore conserva la memoria. Dalla parte d’Occidente, ove la luce era più viva, vedevo alzarsi lentamente da terra, come dei fiocchi di cotone, la nebbia bianca — quella lanuggine omicida dei paludi, che s’apposta come in agguato nella pianura, e uccide chi la respira. Poi finalmente delle cataste di fieno, rassomiglianti a dromedarii accoccolati nelle fermate del deserto, e qualche pastore malinconico, pensieroso, indolente, che segue le ondulazioni delle rare nuvolette che si bagnano nell’immensità. Cosa sogna egli, il solitario della puzsta?

Ogni Ungherese è l’embrione di un poeta, di un gentiluomo, d’un soldato, d’un patriotta e di un pazzo — Don Chisciotte grave, capace di tutti gli eroismi e di tutte le frivolità.

Questa pianura dell’Ungheria è grandemente triste, è la solitudine animata, l’incerto dell’Oriente che trasalisce sotto gli amplessi dell’Occidente. Io por-