Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/335

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che sembrava un soffitto dipinto d’inesorabile oltremare. La terra di queste vigne dai grappoli di oro, di questi campi di gran turco, frastagliati di siepi alle quali delle belle more selvagge formavano un monile nuziale, questa terra biancastra era screpolata. Su tutta la vegetazione stendevasi un oeil de poudre. Si respirava un soffio che rassomigliava ad una fiamma. E noi andavamo sempre, evitando i borghi, le case, l’uomo. Verso la sera però il viaggio divenne delizioso. Il caldo era diminuito. Il sole si coricava nel mare, a perdita di occhio spaziato dinanzi a noi. Ci avvicinavamo a Belvedere, ove io dirigevo i miei passi.

Ad un certo luogo ci fermammo. Bisognava anzi tutto aspettare che la luna si levasse; perocchè, se egli era mestieri di non esser visti, lo era per lo meno altrettanto di vedere. Bisognava lasciar rientrare nel borgo le pattuglie realiste, che nel giorno davano per la campagna la caccia ai liberali, e lasciar coricar la gente. Ma, alle undici della sera, non vi era più un’anima in piedi a Belvedere.