Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/337

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— Zitto! sclamò di un tratto un’altra voce, uscendo di dietro la persiana ove tossiva la voce femminina. Vado a fare aprire.

Era don Francesco in persona che aveva parlato. Un minuto dopo, eravamo dentro e si davano i chiavistelli alla porta.

Questo nobilastro campagnuolo oltrepassava i suoi trenta anni. Era piccolo, tozzo, bruno, giallo, sempre raso come un prelato. Aveva capelli folti, occhi biliosi, le braccia più lunghe delle gambe, le gambe più corte che il tronco, il tronco prolungato di un collo, che non terminava mai, il tutto coronato di una testa a mitra.

Malgrado ciò, don Ciccio Lettieri aveva delle pretenzioni. Si reputava economista, romanziere, poeta; aveva pubblicato non so che sulla storia della Rivoluzione di Thiers — infetto intingolo — e sui fratelli Bandiera, i quali avrebbero potuto morire con più dignità! Don Ciccio aveva inventato una gomma per fissare una lente in un pince-nez, senza laccio, ed una zuppa economica per i poveri — economicissima, perchè la si confezionava di semplice acqua pura. Suonava il corno da caccia, e parlava sempre di un toast portato al ministro Bozzelli in un banchetto solenne.

Quando questo modello di galantuomo politico — che accampa oggi il suo martirio nel ventre del bilancio — mi vide, e’ restò come fulminato. Era in maniche di camicia ed in pianelle, facendo rincontro a madama, la quale, in semplice gonna, prodigava dei tesori cui i miei occhi, carichi di sonno, non sapevano apprezzare.

La signora Lettieri aveva un mezzo pollice di barba,