Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/350

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Il domestico del corpo di guardia scopava, in onor mio, la camera di fuori. Lo chiamai. Venne e mi portò dell’acqua. Poco dopo, si presentò il capitano.

— Ebbene, signor marchese, state allegro. Avete ben dormito, eh!... Oh! ieri sera abbiamo segnalato a Napoli per telegrafo il vostro arresto. Il ministro vi farà mettere in libertà immediatamente, e voi direte, eh! che siete stato trattato con ogni riguardo.

Questa notizia era per me un colpo di fulmine. Essa sollecitava la lugubre soluzione che io aveva intravisto il dì innanzi. Era inevitabile. Il ministro Bozzelli m’invierebbe al generale Busacca, e questo amabile ubbriacone mi avrebbe fatto fucilare in men di tempo che non ne metteva a cioncare un gotto di Madera. Malgrado ciò mi contenni e risposi:

— Avete fatto benissimo. La risposta è arrivata?

— Il telegrafo non parla mica la notte, signor marchese (nel 1848 il telegrafo elettrico non esisteva negli Stati di Ferdinando II). La risposta però può arrivare da un istante all’altro.

— Sta bene, andatevene adesso.

— Volete che vi faccia portare del caffè?

— Grazie. Vedremo più tardi.

E’ partì dondolandosi, le mani dietro il dorso, e lo vidi traversare la piazza. Un’idea solcò il mio spirito come un lampo. Ero perduto: bisognava tutto osare. Terminai la mia toilette, misi i guanti, raccolsi un mozzicone di sigaro gettato via dal capitano, calcai il mio cappello sul capo, ed uscii. Il domestico terminava di scopare l’anticamera; le porte erano aperte. La guardia civica occupava il pian terreno, donde io doveva passare. Scesi la scala e mi rivolsi al sergente: