Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/40

Da Wikisource.

— Sieno! rispose di una voce, come un sol uomo, l’assemblea levandosi in piedi.

— Che sieno eguali dinanzi alla legge, come lo siamo noi, riprese Wesselenyi.

— Sieno! ripeterono i deputati ungheresi.

— Che sieno nostri fratelli, ed abbiano comuni con noi doveri e diritti.

— Sieno! gridò l’assemblea, coprendo d’applausi le parole dell’oratore.

— Sì, continuò Wesselenyi, sì, che da oggi, giorno della Trinità, in avanti, tutti partecipino ai benefizii della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità, quest’altra santa Trinità politica!

E sedette, mentre l’assemblea sempre in piedi applaudiva e sanzionava il nuovo patto, e mentre che lo strepito delle sciabole e mille evviva annunziavano al di fuori, che non c’erano più in Transilvania che degli uomini liberi.

Questa concordia, questa libertà, erano la condanna della monarchia austriaca. Essa lo comprese, e provvide.

La sede del Governo ungherese fu trasferita a Buda-Pesth. Le nazionalità annesse ne furono gelose. Tanto bastava. La leva era trovata, o, a meglio dire, creata. L’Austria, che aveva già schiacciato l’Italia, se ne impadronì. I Croati diedero l’esempio. Il bano Jellachich, il ganzo fortunato dell’arciduchessa Sofia — la fatale amante del disgraziato duca di Reichstadt, — diede il segnale. «Il mio cuore è con voi» gli aveva detto quell’arciduchessa, madre di Francesco Giuseppe. I Serbi seguirono, poi i Sassoni, poi i Rumeni, poi i Confini militari.

La Dieta si riunì a Pesth. Essa votò una chiamata