Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/68

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tarono sei altre, e noi li costringemmo sempre a cercare un ricovero dietro i bastioni. La notte scendeva. Bisognava finirla. Bem lanciò la colonna di Bethlen, ove era io. Amelia si tenne presso il generale sopra una piccola altura, cui la mitraglia spazzava senza tregua. Invademmo i sobborghi, cantando un nuovo ritornello di Petöfy, ed ivi ci precipitammo contro la porta di Nagy-Szeben. Fummo forzati ad indietreggiare tre volte. Accadde allora un fatto, come se ne incontrano spesso nell’Iliade, e come un altro doveva accaderne pochi giorni dopo, il 4 aprile, a Nagy-Kata, fra il capo degli ussari croati, Riedesel, e il capo degli ussari ungheresi, Sebö. Il colonnello Tichter comandava la quarta sortita. Io slanciai il quarto attacco. Ci trovammo faccia a faccia. Ci riconoscemmo.

Amelia vedeva tutto, e indicava la scena a Bem.

— Diavolo! colonnello, gridai io, avete la vita tenace.

Egli non rispose, ma scaricò d’una mano un colpo di pistola a bruciapelo sulla mia testa, mentre con l’altra mi lasciò andare un fendente. Io ebbi il tempo di far impennare il mio cavallo, che ricevette il colpo di sciabola; la palla bruciò i miei capelli. Il mio cavallo non cadde. Lo lanciai allora sul colonnello. Come per tacito consenso, i soldati e gli uffiziali delle due parti fecero alto onde assistere a questo duello. Io attaccai alla mia volta, frugando con la sinistra nella sella per trarne una pistola. Il colonnello parò, indietreggiando: io l’incalzavo sempre. Trovai finalmente la mia pistola. Lo mirai fra i due occhi. Cadde, e questa volta per non più rialzarsi. La battaglia passò sul suo corpo.