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contravo sui margini delle strade dei gruppi di giovani, che ritornavano dall’esercito, laceri, dimagriti, terribilmente consumati dalla febbre, tremanti sotto un sole pesante, denso, giallastro, che divorava tutto ciò che toccava, agonizzanti, assetati e non avendo da bere che l’acqua limosa, verdastra e pestilenziale delle paludi. La puszta non era più quell’antico lago di 500 chilometri di diametro cangiato in prateria, che alla primavera sembrava un mare di verdura ondulante, limitato dalla gran curva del Danubio, da Pesth a Belgrado, ed il semicerchio delle montagne azzurre dei Carpazii; era un mare giallo, gonfiato qua e là da vapori bianchi, che strisciavano sotto l’aspirazione esausta del sole, — la nebbia avvelenata delle paludi, ove il toro bianco e la cavalla selvaggia degli Czikos, si trascuravanoFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376 essi stessi, sonnolenti ed oppressi. La Tisza e la Maros travolgevano delle onde melmose d’un verde livido. Tutto aveva l’itterizia e l’ardore divorante della febbre. La caldura annientava le forze. Nei villaggi si vedevano degli uomini, validi ancora, accovacciati agli angoli delle strade, la pipa in bocca, aspettare l’ignoto, che pesava sovr’essi e li stringeva da ogni parte. Non un soffio d’aria, non una goccia di rugiada: sempre l’alito snervante e malaticcio, che corre sulle acque tenebrose delle paludi, come quello d’un demone. Io sentiva la voglia di piangere. Affrettavo il passo, seminando consolazioni ed incoraggiamenti, che erano accettati col sorriso della rassegnazione. Due uomini soli non disperavano ancora, Kossuth e Bem.

Bem aveva già cominciate le sue operazioni. Egli aveva sotto i suoi ordini 20,000 uomini effettivi, e con