Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/190

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era tappezzato di raso cilestre a gigli d’oro. Sul muro, al fondo, penzolava un grande crocifisso di avorio, ed ai piedi di questo un inginocchiatoio di ebano. Vicino alla finestra, era uno scrittoio con qualche libro di sopra. A lato, un piccolo stipo incrostato di tartaruga. Dietro, un divano molto comodo, in velluto, ed un seggiolone innanzi lo scrittoio, stemmato a corona.

L’uomo dal Toson d’oro andò a sdraiarsi sul divano ed indicò al gesuita di tirare il campanello.

Questi toccò un bottone e restò impiedi.

Due minuti dopo, un lacchè, seguito da due gentiluomini con una chiave d’oro sul dorso, portò sur un vassoio d’oro una tazza di porcellana ripiena di cioccolatte. Il personaggio la prese, e di un gesto ordinò a quella gente di uscire.

Il gesuita restava sempre impiedi, vicino alla porta.

Quando il cioccolatte fu sorbito, il personaggio porse la tazza al gesuita, additandogli di posarla sullo scrittoio, e disse:

— Prendete quel seggio e sedete lì, in faccia a me.

— Mille grazie, sire — mormorò il padre d’Ebro.

Egli era in presenza di sua maestà, re Taddeo IX.

— O’ a parlarvi — disse costui, dopo qualche minuto di silenzio.

— Sono sempre agli ordini di vostra maestà.

— Fate attenzione, padre mio, chè vi parlo in confessione.

Il padre d’Ebro si alzò, s’inchinò, e si riassise.

— Voi vi occupate, padre mio, degli affari della mia anima. Ma voi non vi astenete di darmi altresì dei consigli sulla condotta del mio governo.

— Quando V. M. mi fa la grazia di esprimerne il desiderio...

— E sovente pure, senza che io lo desideri e senza ch’io ve lo domandi.

Il gesuita abbassò il capo, astenendosi dal rispondere.

La voce del re sembrava severa.

— Ora — continuò Taddeo IX — io vi consulto sopra un caso grave — grave per la mia coscienza d’uomo, pel mio onore di cavaliere, per il mio dovere di re.

— Vostra maestà può contare sulla mia lealtà senza li-