Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/195

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Il P. d’Ebro s’inchinò di un’aria piena di umiltà. Il re si levò e gli domandò:

— Padre d’Ebro, voi che leggete tante cose nelle Scritture Sante, vi avete voi giammai incontrato un qualche passo che si rapporti a re, i quali avrebbero ucciso dei profeti infedeli? E’ mi sembra che codesto debba esservi pure.

— Sire — sclamò il P. d’Ebro impallidendo — ciò vi è per l’appunto. Ma...

— Padre mio, parleremo del ma un’altra volta. Riflettete al testo, per il momento. La confessione è finita.

Il padre d’Ebro salutò umilmente ed escì.

Il re suonò.

Un ciambellano apparve.

— Il marchese delle Antilles — ordinò il re.


Due settimane dopo, il marchese delle Antilles era mandato in ambasciata straordinaria presso re Claudio III — onde negoziare un trattato di commercio e navigazione con suo cugino, il re Taddeo IX!


II.

Un mandato come... non se ne dà sovente.

Il marchese delle Antilles era arrivato nella capitale del re Claudio III, portatore di un dispaccio del ministro degli affari esteri, che lo accreditava qual negoziatore di un trattato di commercio, poi di una lettera del suo padrone pel re.

Questa lettera, quando S. M. Claudio III riescì a decifrarla, lo turbò considerevolmente.

Da prima, essa era di una scrittura che avrebbe dato l’itterizia al più intrepido paleografo. In seguito, essa era lunghissima. Infine le cose che conteneva sembravano singolarmente sorprendenti.