Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/275

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Il duca non potè però scegliere.

Doveva amare secondo gli spacci in cifre che riceveva dal suo ministro degli affari stranieri — a cui egli pingeva la galleria di quelle sultane. Gli toccarono dunque due donne mature, che passavano per onnipotenti alla Corte e nella massoneria diplomatica.

Ma con ciò, quelle tigri affamate di carne fresca erano gelose.

Per respirare un profumo di giovinezza, Balbek volle ammogliarsi.

Quelle pieuvres gli gittarono fra le braccia una vergine!

Esse sapevano ciò che facevano.

Un chiaro di luna, a quell’uomo che aveva sete del sole dei Tropici!

L’innocenza di Vitaliana non fu dunque per lui un’antitesi, ma una deluizione. Psiche faceva comprendere Medea. Ebe sottolineava Arianna.

Questa politica di femmina riescì. Il signor di Balbek amò sua moglie come una giovane sorella, e la trovò scipita. Si limitò allora a rispettarla moltissimo, a venerarla quasi — talmente la ingenua ignoranza di lei glie ne imponeva!


In quella specie di crepuscolo dal cuore e di spossamento forzato dei sensi, senza piacere, senza incanto, senza visione, Morella si presentò.

Se il duca non era stomacato delle sue ganze di quarant’anni, ne era per lo meno sopraffatto. Il suo palato, dalla forte tempera, poteva gustare quelle dapi pimentate; ma quel pimento solo, quel pimento sempre, aveva finito per attutirlo — tanto più che quelle Saffi politiche lo avevano compromesso, e, lungi dall’aiutarlo nel far gli affari del suo sovrano, si erano servite di lui per avanzar quelli del cardinale Lambruschini.

Un riposo s’imponeva fatalmente.

Vitaliana non aveva imparato — come quasi tutte le donne della serafica legione — che ella doveva essere non la moglie ma l’innamorata di suo marito.

La politica interna per la gaiezza dei lari domestici l’è in codesto. E, codesto è tutta la scienza del cuore, quantunque non ne abbia le specie.