Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/282

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XI.

In cui si vede come si abborracciano i paradisi.

Il secondo mese del connubio del duca di Balbek con Morella toccava a fine.

I teatri e le passeggiate di Parigi avevan visto di tempo in tempo Morella apparire e passar come una cometa, ma alcuno non aveva saputo quale dio o quale demonio trascinasse ella nell’orbita sua, o le desse impulso.

Il duca di Balbek era restato nell’ombra — che si preoccupasse del suo nome, della dignità di sua moglie, o del riserbo impostogli dal suo ufficio di diplomatico, poco monta.

Il signor di Linsac aveva custodito Morella per circa due anni in una specie di gabbia incantata, cui egli indorava del suo spirito non potendo indorarla dei suoi luigi: madama di Maintenon che serviva un aneddoto per rimpiazzare un arrosto!

Morella vi si era formata — osservando il mondo per spiragli, che lo rivelavano molto e le facevano indovinare molto più ancora. Ella arrivava dunque quasi sconosciuta e si levava sull’orizzonte della vita elegante di Parigi come una girandola in una festa. Fissava gli sguardi; spronava le brame.

Non vi fu che una voce: Chi è dessa? a cui è dessa?

E tutti ad invidiare il fortunato sultano che accendeva quel sole nelle notti del suo harem.

Era egli felice quel sultano?

Forse sì.

La morte per congelazione non à dessa le sue voluttà? La forca non à anche dessa le sue delizie? La felicità è dessa altra cosa che lo stordimento?

Dante à scritto sulla porta del suo inferno: «Lasciate ogni speranza.»