Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/302

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10 mazzi di carte, cui aprì ed ammonticchiò sulla tavola.

Il giuoco cominciò.

Si era al più vivo delle poste quando la porta del gabinetto si aprì dolcemente ed il principe di Lavandall v’introdusse Vitaliana, onde sottrarla agli inviti che la avevano di già stanca.

Il principe, appoggiando al suo braccio la giovane donna, si collocò dietro al duca di Balbek, il quale non si accorse forse neppure della presenza di sua moglie — talmente il demonio del giuoco lo trasportava in quel momento.

D’altronde, il suo giro di pigliar la mano arrivava. La fortuna gli aveva di già sorriso, perchè aveva innanzi a sè un mucchietto assai spesso di marche, d’oro e di polizze da banco.

Prese le carte.

— Si dice, signori, che, al club di Mosca sopratutto, si giuoca molto al lanzichenecco — chiese il dottore ai due Russi. È vero?

Mentre il principe ed il conte rispondevano volgendosi verso il dottore, il duca di Balbek prendeva le carte — soffiandosi previamente il naso.

Vitaliana, però, che aveva gli occhi sopra di suo marito — al pari del principe di Lavandall, probabilmente — rimarcò qualche cosa cui non comprese. Perocchè, volgendosi al principe, le dimandò a voce bassa:

— Che fa egli dunque?

Il principe di Lavandall scostò Vitaliana, rinculando verso la porta del gabinetto. Lo aprì, uscì, lo chiuse a chiave dietro a lui, e trascinò Vitaliana in una stanza appartata.

— Voi avete dimandato, duchessa — mormorò il principe a voce bassa: che fa egli dunque?

— Sì — rispose Vitaliana, commossa dell’aria che prendeva il diplomatico russo.

— Ebbene, duchessa, vostro marito ruba.

— Signore! — gridò Vitaliana, tremando di tutte le sue membra come se fosse entrata in un bagno gelato.

— Vostro marito ruba al giuoco — replicò il principe con delle lagrime nella voce. Ma abbiate calma, madama,