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Quando furono soli, il contegno di Adriano cangiò.
Il suo viso, sì dolce e trasparente, assunse un’aria dura, altera e supremamente disdegnosa.
Il duca pareva completamente abbattuto.
— Io vi aspettava — disse Adriano, sedendo — ed avete potuto vedere che sono preparato.
— Perchè mi aspettavate voi? — domandò il duca. Voi avete dunque dei rimorsi?
— Io mi metto di raro nel caso di averne — replicò Adriano.
— Nel caso! — mormorò il duca. — Con gli altri gentiluomini si sa anzi tratto quali sono codesti casi. Con noi altri, allevati al seminario o dai padri gesuiti, codesti casi sono indefiniti e sfuggevoli.
— Voi credete?
— Ditemi, a tutto azzardo, se voi opinate che introdursi in casa di qualcuno che è assente, aprire i mobili, pigliarvi un portafogli con delle carte, non sia il caso di aver dei rimorsi e di offrire delle spieghe.
— Gli è inutile l’andar per circuiti — gridò Adriano con impazienza. Precisate i fatti.
— Precisare! Ma e’ mi sembra che io mi abbia messo il proposito assai chiaramente. Gli è vero, sì o no, che voi siete venuto ieri mattina, alle otto, in casa mia?
— Sì. E poi?
— Gli è vero, sì o no, che vi si è fatto attendere nella mia camera da letto, a richiesta vostra, per fumare liberamente, avete voi detto?
— Sì. Continuate.
— Continuo, certo, perocchè non vi è che voi che siate entrato in quella camera. Ora: siete voi che avete aperto uno stipetto a capo del mio letto, e che ne avete tolto un taccuino di velluto violetto, con delle carte di Stato?
— Sissignore! — gridò Adriano, levandosi. Conchiudete.
— Ah! voi lo confessate dunque? — borbottò il duca, tremando di collera. Siete voi dunque che avete rubate le mie carte!
— Olà! — urlò Adriano. Rubare è una parola che non squarcia mica la bocca a voi — a voi che siete abituato alla cosa! Ma non osate articolarla più in mia presenza, se volete evitarmi il disgusto di schiaffeggiarvi.