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— Il dolore è un grido e non una lingua, dottore — osservò il duca. Voi lo ignorate; tanto meglio!
— Che vi càpita, dunque? Io credeva, al contrario, che la calma vi ritornasse.
— Io sono agli estremi. Mi affliggono a questi tre abissi: uccidermi, lasciarmi uccidere, o assassinare!
Il dottore, forte pensoso, si grattò la fronte, e dimandò lentamente:
— E voi avete scelto?
— Ve lo chieggo a volta mia.
— Insomma, spiegatevi.
— Voi non mi comprendete, dunque? Avete voi mai assaporato la gelosia dell’odio?
— Ignoro quella dell’amore — figuratevi! Allora?
— Scandagliate. Voi conoscete una parte dei miei disastri.
— Sopra una parola anticipata della morte del re Taddeo — cui il signor di Lavandall si lasciò scappare a disegno — ò guadagnato alla Borsa cento mila franchi. I nostri debiti comuni, e quelli di cui aveva risposto, addossando le vostre cambiali, sono pagati.
— Non è il danaro che cagiona le mie sventure.
— Morella dunque?
— Morella parte dopo domani per la Turchia, a traverso la Russia, in compagnia di parecchi signori. Lord Warland guadagna l’handicap. Ella finirà per recarsi in Italia, e sposarvi un marchese, un ministro, un duca, o che so io.
— Voi non l’amate dunque più?
— Non ne so nulla. Galleggio nella nebbia.
— In questo caso, venite a vedermi quando sarete sboccato nel chiaro.
— Voi non vedete dunque altro nel mondo, voi, che la pecunia e la ganza?
— Vi trovate voi altra cosa?
— Io era padre. Mi si viene a dire: voi siete disonorato; il vostro figliuolo non porterà più il vostro nome! Ero marito. Mi si dice: voi siete infame; vostra moglie è vedova!
— La sentenza è feroce.
— Ora, io amo il mio bambino. Senza proprio amarla, tengo a mia moglie. Protesto. Mi si risponde: lascerete Parigi fra un mese, solo, ovvero io vi sforzo a battervi in duello e vi uccido.