Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/362

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— Partite allora.

— Solo?

— Che! ma voi credete ancora che vi possa essere al fianco mio un posto per voi? Voi non concepite dunque che, se Dio stesso mi condannasse a sentire il soffio del vostro alito sul mio sembiante, io lo laverei con quelle braci?...

— Lo scorgo bene, madama — biascicò il duca lentamente — se io non avessi commesso quelle colpe, voi le avreste inventato per arrivarne a codesto.

— Codesto! che?

— Ponvi mente, Vitaliana, sono forse le ultime parole cui t’indirizzo; il singhiozzo di agonia di una coscienza e di un cuore! Io ti amo...

Vitaliana portò ambe le mani al suo viso.

— Se non avessimo un figliuolo, ti lascerei libera. Io so che in questo rinnovamento continuo di resurrezione nell’universo, la sola cosa che non rivive mai, è l’amore. Ma quel figliuolo lì!... Io l’ò di già troppo vilipeso con le mie follie: non permetterò mai, no, giammai, intendi tu? ch’egli abbia a subire altresì l’obbrobrio di sua madre.

— Signore — rispose Vitaliana levandosi anch’ella, di una voce calma ma decisa — voi non avete che tre modi per impedirlo: uccidervi, lasciarvi uccidere, ucciderci. Scegliete, ed addio. Io dico addio, signore!

Il duca dette un salto ed avvinghiò le mani al collo di sua moglie.

Vitaliana neppure trasalì.

Balbek indietreggiò, tutto ontoso, ed uscì dicendo:

— Mille scuse, madama.

Il dado era tratto?

No, non ancora.

Il duca rivenne su i suoi passi, ed avvicinandosi a sua moglie le dimandò:

— Tu mi ài richiamato, Vitaliana?

Questa riapparizione produsse sulla duchessa un tale senso di disprezzo e di nausea, che il suo viso ne divenne brutto sotto la contrazione dei muscoli. Cercò la risposta cui doveva fare, cercò forse le parole; ma, dopo qualche esitamento, ella non seppe che trovar questo:

— Dite ai miei famigliari che esco all’una.