Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/86

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gabinetto del medico. E quando si separarono, si abbracciarono teneramente.

La politica li aveva un po’ straniati. Giustino, repubblicano della tempera di Saint-Just, non approvava certe transazioni cui Sergio aveva creduto convenevole ammettere, cedendo alla forza delle cose.

L’indomani di questa riconciliazione, Sergio era caduto ammalato.

Suo fratello lo accudiva.

Infrattanto, il manoscritto mandato al giornale smaltivasi e volgeva alla fine. Il direttore dell’appendice gli chiedeva nuova copia di tutta fretta, perocchè non ne restava più che per tre feuilletons.

Preso così alla gola, dal suo impegno e dai suoi lettori, Sergio si era alzato ed aveva cominciato a scrivere. Ma si sentiva troppo debole.

Il campanello della cancellata del suo chálet risuonò. Andò alla finestra e scorse il suo amico Marco di Beauvois.

— Bravo! — sclamò Sergio. Arriva a proposito. Va ad aiutarmi.

Si assise innanzi al caminetto ed aspettò.

Marco non venne da lui. Era entrato nel piccolo atelier di Regina. Sergio andò in busca di lui. Ma, giunto alla porta dell’atelier, alcune frasi, cui infraintese, colpironlo.

Ecco ciò che Marco raccontava:


— .......... Un’avventura, madama, che sarebbe stata davvero comica, se il vostro nome non vi si fosse mischiato, e se un uomo non fosse stato mortalmente ferito.

Sergio fermossi ed ascoltò.

— Il mio nome, voi dite? — gridò Regina — il mio nome al foyer de l’Opéra?

— Sventuratamente, sì, madama.

— Impossibile, signore.

— Io vi era, madama, ed ecco come le cose sono avvenute. Non debbo nulla dissimularvi.

— Parlate, al contrario.

— Eravamo riuniti, lì, verso l’una del mattino, un gruppo di giornalisti e di letterati e cicalavamo con delle maschere che ci facevano corona, di ogni specie di monellerie,